Essere giovani in Sardegna, oggi, è diventato un atto di resistenza. Non è retorica, ma una cruda fotografia della realtà. Mentre si continua a parlare del divario tra Nord e Sud Italia, esiste un’altra frattura meno visibile ma ancora più profonda: quella tra le isole e il continente. Il diritto all’insularità, spesso evocato ma raramente affrontato con serietà, rimane uno dei nodi più irrisolti del nostro tempo.
Il mare che ci circonda, tanto affascinante da rendere la Sardegna una delle mete turistiche più amate d’Europa, si trasforma per chi ci vive in una barriera economica, logistica e sociale. Fare impresa in Sardegna, per una piccola o media azienda, significa partire già in svantaggio. I costi di trasporto sono insostenibili, i collegamenti con la penisola sono insufficienti e instabili, e i tempi per gli spostamenti interni sono inaccettabili: per raggiungere Sassari da Cagliari in treno servono almeno sei ore e mezza – lo stesso tempo necessario per andare da Roma a Parigi.
A tutto questo si sommano criticità strutturali che paralizzano il tessuto sociale ed economico dell’isola. La provincia di Nuoro è l’unica in Italia non collegata alla rete ferroviaria nazionale. Il tasso di abbandono scolastico in Sardegna è il più alto del Paese. La sanità, già in affanno a livello nazionale, qui sembra in stallo permanente. Lo spopolamento, silenzioso ma inarrestabile, sta svuotando i piccoli comuni, riducendo interi territori a desolazione demografica.
E poi ci sono le contraddizioni grottesche. La dispersione idrica ha superato il 50%, mentre ogni estate l’acqua viene razionata in numerose zone. Le strade provinciali sono spesso abbandonate a sé stesse, inghiottite dalla vegetazione o rese impraticabili dall’incuria. Di fronte a tutto questo, la risposta della politica regionale sembra concentrarsi sulla promozione di nuovi impianti eolici in aree ancora incontaminate. Ma a cosa serve produrre più energia di quella che consumiamo, se questo non comporta alcun beneficio concreto per i cittadini sardi?
Il vero dramma, però, è sociale. I giovani lasciano la Sardegna in cerca di opportunità che qui sembrano inesistenti. Le condizioni per costruire un futuro stabile, dignitoso e innovativo sull’isola semplicemente non ci sono. Questo allontana le nuove generazioni non solo dalla propria terra, ma anche dalla politica e dalla partecipazione civica. Eppure, proprio questi dovrebbero essere i temi centrali del dibattito pubblico. Perché noi giovani siamo il futuro, volenti o nolenti.
La Sardegna non può essere trattata come una qualsiasi regione del continente. Non può pagare le stesse tasse, affrontare le stesse sfide con mezzi diseguali, sottostare alle stesse logiche centraliste. Se non si riconosce concretamente il diritto all’insularità, il tessuto produttivo dell’isola continuerà a sgretolarsi, con gravi conseguenze in termini di disoccupazione, diseguaglianza e crisi sociale.
È tempo che la Sardegna venga vista per ciò che è davvero: non solo una cartolina estiva, ma una terra viva che chiede rispetto, diritti e prospettive. Una terra che merita di essere ascoltata, prima che il silenzio dello spopolamento diventi definitivo.